Ketamina – Una Nuova Speranza Contro La Depressione

Tradotto da Giulia Donzella, modificato da Jacopo Vanoli, Federica Mauro

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Christoph Benner, M.Sc.

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  • 10 minutes
  • Aprile 1, 2018
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NASCITA DI UN ANESTETICO

Nel 1962, Calvin Stevens, chimico presso l’azienda farmaceutica Parke-Davis, sintetizzò un anestestico che avrebbe dovuto avere meno effetti collaterali rispetto alla peniciclidina (PCD),un composto precedentemente utilizzato.

Egli denominò questa sua creazione CI-581. Poco dopo, il medico Edward Domino somministrò la CI-581 a soggetti umani durante uno studio effettuato sui detenuti della prigione di stato a Jackson nello stato del Michigan (USA). Utilizzando dosi sub-anestetiche egli sperava di descriverne gli effetti sulla coscienza umana. Il composto CI-581  si rivelò ripetitivamente capace  di indurre esperienze extracorporee o stati in cui la mente sembra dissociarsi dal corpo. La moglie di Domino suggerì di classificare la sostanza come anestetico dissociativo, e CI-581, in seguito denominato Ketamina, fu aggiunto alla materia medica dall’FDA nel 1970.

Gli effetti dose-dipendenti della Ketamina (dissociativi a basse dosi e anestetici ad alte ) non godono dello stesso interesse scientifico. Da un lato, il vantaggioso profilo di sicurezza per le funzioni vitali durante l’anestesia ha portato la ketamina nella “hall of fame” della medicina, dichiarata dall’OMS “medicina essenziale” dal 1985.  Dall’altro lato, la comune fenomenologia tra gli psichedelici classici e la ketamina a basse dosi, inclusa la tendenza a indurre la “perdita dell’ego”, ha attratto consumatori con scopi ricreativi. Una tra le figure più famose della scena psichedelica, John Lilly, fu per anni altamente dipendente dalla sostanza. In parte per questi motivi, la dissociazione tra corpo e mente indotta da basse dosi di ketamina le ha, sin dalla sua alba psichedelica, affibiato l’immagine di “droga sporca”.

Recentemente, la ketamina è stata identificata come un possibile antidepressivo rivoluzionario, ma ancora non è chiaro come funzioni. È probabile che “l’effetto collaterale” dissociativo sia la giusta chiave di interpretazione, inducendo un viaggio interiore che può essere dimostrarsi sia spaventoso che di beatitudine; alcuni credono che entrambi questi stati possano essere clinicamente d’aiuto. Ad esempio, un paziente depresso potrebbe confrontarsi con i traumi che hanno indotto lo sviluppo della malattia ed in seguito recuperare il significato nella propria vita.

Tuttavia, molti ricercatori stanno prendendo una traiettora diversa e sono convinti che gli effetti antidepressivi della ketamina siano separati dall’esperienza psicoattiva che induce. Al contrario, questi effetti potrebbero essere nascosti nelle reti cerebrali, alcune delle quali devono ancora essere pienamente  comprese.

Per rimanere al passo con le nuove scoperte, questa breve review offre una descrizione dei più importanti studi sull’uso della ketamina in psichiatria e ha lo scopo di integrarli all’interno di una più ampia visione della cura psichedelica contro la depressione.

DIAGNOSTICARE LA DEPRESSIONE

La depressione è qualcosa in più della mera tristezza. Chiamata anche disturbo depressivo maggiore, la depressione è una malattia psichiatrica devastante ed è anche la maggiore causa di disabilità mondiale, colpendo più di 300 milioni di persone.

Nel mondo occidentale la depressione viene diagnosticata dagli psichiatri basandosi su uno dei manuali disponibili: The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) negli Stati Uniti, o the European International Classification of Disease (ICD). I criteri clinici del DSM per diagnosticare la depressione iniziano con la presenza o di un umore depresso o di una perdita di interesse o piacere nelle attività quotidiane per almeno  due settimane. Ulteriori sintomi i riguardano l’alterazione del funzionamento sociale, lavorativo e educativo. I criteri dell’ ICD 10 sono simili e si dividono in 3 sintomi principali: umore depresso, perdita d’interesse e perdita di energia. Devono essere presenti almeno due tra questi per un minimo di due settimane. Anche altri sintomi si ritrovano comunement, itra cui difficoltà nella concentrazione, riduzione dell’autostima, sentimenti di colpa e alterazioni nel sonno e nell’appetito.

La depressione può essere sia trattata farmacologicamente che non farmacologicamente edentrambi gli approcci mirano ad aiutare il paziente a riappropriarsi di uno stabile senso di controllo cognitivo ed emozionale. Mi concentrerò sui trattamenti farmacologici disponibili e sui molti ostacoli che si devono superare per trattare la depressione efficacemente.

PUNTI DEBOLI CLINICI

Sebbene il DSM e l’ICD siano stati considerati per decenni come i gold standard, sono anche stati intensamente criticati per il modo puramente descrittivo con cui ritraggono i sintomi soggettivi in un disturbo complesso. Considerate la sfortuna di essere improvvisamente licenziato dal proprio lavoro o di sperimentare la perdita di una persona a voi cara. Entrambi gli eventi possono portare ad uno stato mentale che soddisfa tecnicamente i criteri per la depressione clinica. Tuttavia, con il passare del tempo è plausibile che riusciate a guarire, probabilmente senza un aiuto professionale o senza farmaci.

Nei nostri criteri diagnostici, alcuni clinici propongono  che i meccanismi (neuro)biologici alla base depressione dovrebbero essere integrati nel DMS e nell’ ICD. Inoltre, i criteri diagnostici dovrebbero essere concettualizzati nel loro contesto culturale, poichè alcuni sintomi della depressione potrebbero non essere considerati come patologici da tutte le società. Questo porterebbe ad una più sottile distinzione tra le attuali, ma a volte poco chiare, sottoclassi di disturbi depressivi maggiori.

LE PROMESSE DEL PASSATO

Una valutazione biologica della depressione potrebbe fornire sia informazioni importanti riguardo alla sua perlopiù inspiegabile eziologia sia nuove idee riguardo al suo trattamento. Nella pubblicazione del loro studio riguardo allo sviluppo dei farmaci antidepressivi,1 Vitor Pereira e Vinicius Hiroaki-Sato sostengono il bisogno di una ricerca razionale e basata su evidenze scientifiche degli interventi farmacologici contro la depressione. Ciò sembrerebbe scontato in un ambito scientifico come la psichiatria clinica. Tuttavia, storicamente l’utilizzo degli antidepressivi è stato vittima di un’eccessiva enfasi basata sulle osservazioni cliniche e del mancato riconoscimento di nuove teorie.

La maggioranza degli antidepressivi presenti attualmente sul mercato aumentano la concentrazione cerebrale attiva dei neurotrasmettitori serotinina (5-Hydroxytryptamine, 5-HT) e/o noradrenalina and/or norepinephrine (NE), molecole appartenenti alla classe chimica delle monoammine. La casuale scoperta che portò all’ipotesi monoamminergica della depressione, avvenne quando i pazienti che ricevevano la reserpina, una droga utilizzata nel trattamento della pressione alta sanguinea, svilupparono misteriosamente sintomi depressivi. La reserpina aveva ridotto il livello sinaptico di 5-HT e NE stimolando un enzima chiamato monoamminosidasi (MAO), il quale disintegra questi neurotrasmettitori. Al contrario, i pazienti con tubercolosi che ricevettero iproniazide, il quale inibisce le MAO, sperimentavano un umore elevato.

Poco dopo queste scoperte, gli inibitori della MAO (“MAOIs”) furono i primi composti farmacologici sul mercato per il trattemento della depressione. Ciononostante, si presentò un grande problema: i MAOIs non erano abbastanza efficaci e i pazienti che li assumevano sperimentavano gravi effetti collaterali, come pericolosi cambiamenti di pressione sanguinea, eccessiva sudorazione, disturbi del sonno, aumento di peso e crisi ipertensive. Di conseguenza, col passare degli anni, i medici sono diventati riluttanti nel prescrivere i MAOIs. Gli antidepressivi triciclici, la generazione successiva ai MAOIs, incontrarono infine un simile destino.

I famosi e, oggigiorno, maggiormente diffusi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (“SSRIs”) furono i primi antidepressivi che succedettero ad una razionale progettazione del farmaco, con la fluoxetina che fu il primo SSRI a colpire il mercato statunitense nel 1988. Tuttavia, le prescrizioni di un SSRI spesso falliscono nel ripristinare completamente l’omeostasi psicologica del paziente. Circa un terzo di loro non risponde affatto a questo trattamento e l’intervallo che intercorre tra la prima assunzione e i miglioramenti clinici può durare diverse settimane, aggiungendo un ulteriore peso psicologico al paziente.

SPERANZE PER IL FUTURO

Una probabile scoperta rivoluzionaria emerse all’inizio di questo millennio. Robert Berman e i suoi colleghi riportarono che una singola dose subanestetica (0.5 mg/kg) di ketamina somministrata per via endovenosa suscitava nei pazienti una risposta antidepressiva immediata, che permaneva per diversi giorni. Molti studi di follow-up  confermarono ed estendettero questo risultato. Il trattamento con ketamina sembrava essere promettente soprattuto per alcuni patienti depressi con ideazioni suicidarie, ed era inoltre particolarmete utile per pazienti che erano stati trattati senza successo con due cicli di SSRI, i così chiamati “pazienti resistenti”.

Come utilizzò la comunità scientifica questi risultati? Era noto che lo schema di trattamento con ketamina di Berman era accompagnato da leggeri effetti dissociativi. Nondimeno gli scienziati prestarono più attenzione al fatto che la ketamina non altera i livelli di 5HT o NE, ma piuttosto influenza i sistemi del neurotrasmettitore glutammato, suggerendo che la scienza potrebbe aver bisogno di un cambiamento di paradigma nel modo in cui considera l’eziologia della depressione. La ricerca recente si è ampiamente concentrata sull’interazione della ketamina con le vie glutammatergiche, cercando di individuare un biomarker che potrebbe aiutare i clinici sia a spiegare sia a trattare la depressione su una scala più vasta.

Dall’altro lato, l’effetto dissociativo della ketamina è stato ampiamente ignorato o considerato come un effetto collaterale indesiderato. Vale a dire proprio come con lo sviluppo degli insoddisfacenti SSRIs, la ricerca sulla ketamina ha iniziato ad investigarne le basi molecolari. Tuttavia alcuni scienziati si stanno domandando se questa esperienza sia importante per gli effetti terapeutici della ketamina.

UNA NUOVA BIOLOGIA DELLA DEPRESSIONE

Nel marzo del 2018, Panos Zanos e Ted Gould presentarono un riassunto dettagliato2,3 dei proposti meccanismi antidepressivi della ketamina. Ritenendo che le proprietà dissociative della ketamina fossero distinte dai suoi effetti antidepressivi, loro sostennero che la chiave per comprendere l’efficacia della ketamina derivasse dall’aumento di neuroplasticità: la ketamina rinforza le connessioni neuronali esistenti e facilita la crescita di nuove sinapsi. Questo lo fa attraverso la sua pronunciata attività come antagonista non-competitivo di un particolare recettore glutamatergico, il recettore NMDA. Nell’ “ipotesi della disinibizione”, l’attività della ketamina nei recettori NMDA stimola la produzione di proteine, dando infine vita a nuove connessione sinaptiche.

Oltre all’ipotesi disibinitiva, ci sono molte altre teorie sull’azione della ketamina che portano allo stesso risultato. Una tra queste ruota attorno ad un metabolita della ketamina che non è un antagonista del recettore NMDA, ma un agonista dell’ AMPA (AMPA è un altro recettore del glutammato). Questo metabolita ha proprietà antidepressive ma non dissociative nei modelli murini di depressione, aumentando ulteriormente la convinzione degli autori che le proprietà psicoattive della ketamina siano irrilevanti per i suoi effetti antidepressivi. Tuttavia, il problema di tradurre i risultati derivati da studi animali negli umani, specialmente quando si tratta di disordini mentali, è un fattore importante.

DALLA CELLULA AL CERVELLO

Se la neuroplasticità gioca un ruolo cruciale nelle proprietà antidepressive della ketamina, come potrebbero nuove connessioni neurali aiutare i pazienti depressi? Un’ipotesi è che maggiori connessioni cerebrali permettono al cervello di ottenere più flessibilità cognitiva.

Uno dei sintomi tipici della depressione è che i pazienti sperimentano un circolo di pensieri che ruota intorno alla loro inferiorità e non può essere interrotto, uno stato mentale denominato ruminazione. La ruminazione è stata associata al cosidetto default mode network cerebrale, definita come un insieme di strutture che sono principalmente attive quando non siamo occupati in uno specifico compito.6  Il DMN è attivo, ad esempio, quando pensiamo a noi stessi. Nella ruminazione depressiva il DMN è funzionalmente rigido, favorendo il mantenimento di una tendenza a creare pattern di pensiero negativi e autoreferenziali. Subito dopo l’entrata della ketamina nel cervello depresso – questo è quello che la teoria ritiene – l’aumento di neuroplasticità permette alla DMN di connettersi con altre aree cerebrali.7  Le complessive dinamiche cerebrali diventano molto meno rigide, e il correlato cognitivo di questo potrebbe essere rappresentato dallo sviluppo di una prospettiva meno negativa riguardo a se stessi.

Facciamo un ulteriore passo. Siamo appena passati l’effetto della ketamina da un livello molecolare o unicellulare ad un livello sistemico, il connettoma cerebrale generale. Oltre a quello, l’esperienza soggettiva indotta dalla ketamina potrebbe anche giocare la propria parte nel trattare la depressione. L’esaminazione dei percorsi molecolari attraverso un tedioso lavoro di laboratorio potrebbe non fornire il quadro completo degli effetti antidepressivi della ketamina.

DAL CERVELLO ALLA MENTE

Nel loro manoscritto “Ketamina per il Trattamento della Dipendenza: Evidenze e Potenziali Meccanismi”, Ezquerra-Romano et al. menzionano la Terapia Psichedelica con Ketamina (KPT) come modello per utilizzare le esperienze psichedeliche per trattare la depressione.4 Sviluppata principalmente dai due ricercatori russi, Krupitsky e Grinenko, la teoria che sta dietro alla KTP suggerisce che alte dosi di ketamina rendono più facile rimodellare le credenze emozionali relative a comportamenti problematici, come l’uso compulsivo di droghe. Lo schema del trattamento della KTP comporta affermazioni verbali riguardo al creare un significato e uno scopo nella propria vita, nonchè affermazioni che svalutano la sostanza d’abuso.

Molti resoconti aneddotici dei primi studi sulla KPT enfatizzano l’esperienza soggettiva come un aspetto importante dei suoi effetti terapeutici. La motivazione ad interrompere l’uso di sostanze potrebbe derivare da particolari esperienze di tipo mistico e da viaggi interiori – stati nei quali i pazienti hanno l’opportunità di affrontare le radici individuali della loro depressione attraverso la riflessione su loro stessi, la contemplazione e il passaggio attraverso emozioni difficili. Queste esperienze possono aiutare i pazienti a “sperimentare un processo catartico, migliorare le relazioni con il mondo e con altre persone, mantenere cambiamenti psicologici positivi e aumentare la consapevolezza di sè e la crescita personale.”4

Gli effetti dissociativi caratteristici della ketamina potrebbero essere ulteriormente importanti, sebbene su questo gli accademici non siano ancora d’accordo. In un altro studio, Marc Niciu e il suo gruppo trovarono simili risultati: le esperienze sia di derealizzazione che di depersonalizzazione erano  modesti predittori degli effetti antidepressivi delle infusioni di ketamina.5

IL FUTURO DELLA KETAMINA

Nell’acclamato film Good Will Hunting(Genio Ribelle in italiano) lo psicoterapeuta di buon cuore, interpretato da Robin Williams, fa un discorso che induce a riflettere sulla differenza tra conoscenza ed esperienza:

SE TI CHIEDESSI SULL’ARTE,PROBABILMENTE MI CITERESTI TUTTI I LIBRI DI ARTE MAI SCRITTI… MA SCOMMETTO CHE NON RIUSCIRESTI A DIRMI DI COSA ODORA LA CAPPELLA SISTINA. NON SEI MAI STATO LÌ CON LA TESTA RIVOLTA A QUEL BELLISSIMO SOFFITTO… SE TI CHIEDO SULLA GUERRA PROBABILMENTE MI TIRERESTI FUORI SHAKESPEARE: ‘ANCORA UNA VOLTA SULLA BRECCIA, CARI AMICI !’ MA NON NE SEI MAI STATO VICINO AD UNA. NON HAI MAI TENUTO IN GREMBO LA TESTA DEL TUO MIGLIORE AMICO GUARDANDOLO ESALARE IL SUO ULTIMO RESPIRO. SE TI CHIEDESSI SULL’AMORE , MI CITERESTI PROBABILMENTE UN SONETTO. MA NON HAI MAI GUARDATO UNA DONNA E TI SEI SENTITO TOTALMENTE VULNERABILE.”

Questa citazione racchiude lo status quo in cui troviamo per quanto riguarda la ricerca sulla ketamina come nuovo antidepressivo. Abbiamo un sacco di letteratura sulla ketamina, ma ci manca la conoscenza pratica e professionale sull’esperienza che evoca. Negli attuali interventi farmacologici contro la depressione, il trattamento dei sintomi è a volte confuso con il trattare la causa.

La psicoterapia ha rappresentato un valido approccio per trattare la depressione. Le sessioni hanno come scopo aiutare il paziente ad aprirsi affinchè le tensioni emotive profondamente nascoste possano essere rilasciate ed elaborate. Se unito alla ketamina o al altri psichedelici, questo effetto può essere enormemente potenziato. Nel futuro del trattamento della depressione, potremmo osservare che la visione riduzionistica e la visione di uno psicoterapeuta non si contraddicono a vicenda- ma si complementano.

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Bibliografia
  1. Pereira, V., Hiraoki-Sato, V. (2018). A brief history of antidepressant drug development: from tricyclics to beyond ketamine. Acta Neuropsychiatrica; doi: 10.1017/neu.2017.39.
  2. Zanos, P., Gould, TD. (2018). Intracellular Signaling Pathways Involved in (S)- and (R)-Ketamine Antidepressant Actions. Biological Psychaitry. 83(1): 2-4; doi: 10.1016/j.biopsych.2017.10.026.
  3. Zanos, P., Gould, TD. (2018). Mechanisms of ketamine action as an antidepressant. Biological Psychiatry. 23: 801–811; doi: 10.1038/mp.2017.255.
  4. Ezquerra-Romano, I. I., Lawn, W., Krupitsky, E., & Morgan, C. J. A. (2018). Ketamine for the treatment of addiction: Evidence and potential mechanisms. Neuropharmacology; doi: 10.1016/j.neuropharm.2018.01.017.
  5. Niciu, M., Shovestul, BJ., Jaso, AJ., Farmer, C., Luckenbaugh, DA., Brutsche, NE., Park, LT., Ballard, ED. and Zarate, CA. (2018). Features of Dissociation Differentially Predict Antidepressant Response to Ketamine in Treatment-Resistant Depression. Journal of Affective Disorders; doi: 10.1016/j.jad.2018.02.049.
  6. Hamilton JP, Farmer M, Fogelman P, Gotlib IH. Depressive rumination, the default-mode network, and the dark matter of clinical neuroscience. Biological psychiatry. 2015 Aug 15;78(4):224-30.
  7. Evans JW, Szczepanik J, Brutsché N, Park LT, Nugent AC, Zarate Jr CA. Default mode connectivity in major depressive disorder measured up to 10 days after ketamine administration. Biological psychiatry. 2018 Oct 15;84(8):582-90.

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