Dissolvere la dissoluzione dell’ego

Ripensare il ruolo del default mode network nelle sostanze psichedeliche

Tradotto da Federica Mauro, modificato da Eleonora Corrias

Modificato da Clara Schüler & Lucca Jaeckel

Il pubblico spesso si affretta a far propria una narrativa interessante prima che ci siano risultati scientifici. Questo vale sia per la narrativa relativa all'ego che per quella relativa al Default Mode Network (DMN).

Sono passati tre anni da quando il libro di Michael Pollan “Come cambiare la tua mente” ha rilanciato la scienza degli psichedelici nella consapevolezza mainstream. Il libro ha reso popolare la nozione secondo cui il Default Mode Network (DMN), il network cerebrale che si attiva quando le persone non sono impegnate in un compito e lasciano vagare la propria mente, sia la sede dell’ego o del sé, e che gli psichedelici agiscano primariamente ‘spegnendolo’. Nel libro Pollan scrive:

“Sembra che quando l’attività del default mode network diminuisce velocemente, l’ego scompaia temporaneamente, e i confini di cui facciamo usualmente esperienza tra il sé e il mondo, soggetto e oggetto, si dissolvano completamente.”1

A partire dalla pubblicazione del libro, i media sono stati inondati da narrative che descrivevano la morte dell’ego attraverso il silenziamento del DMN come la caratteristica distintiva dell’esperienza psichedelica.2 Questa visione è stata così ampiamente accettata come sapere comune da parte del pubblico generale interessato agli psichedelici, che ritiri psichedelici ben noti hanno incorporato nelle dichiarazioni della loro mission frasi come: “Ottimizziamo gli effetti della psilocibina sul DMN aiutando i partecipanti ad esplorare la libertà dal controllo dell’ego in un ambiente sicuro, confortevole e guidato.”3 Al contrario, diversi scienziati coinvolti nello studio della psilocibina, se messi alle strette, spiegano che il legame tra l’ego e il DMN è una leggenda, o per lo meno una narrativa troppo utilizzata.

“Penso che molti ricercatori stanno forse prendendo un abbaglio riguardo la dissoluzione dell’ego”, dice David Yaden, PhD, ricercatore del Johns Hopkins Center for Psychedelic and Consciousness Research in un’intervista del 2020 con lo psicologo umanista Dr. Scott Barry Kaufman. “Il focus sul DMN è qualcosa che probabilmente non continuerà a essere molto utile in termini di comprensione scientifica del perché queste esperienze siano così benefiche.”4

Dunque, come siamo arrivati a questo punto, con Pollan e gli altri? Ed è davvero importante che si sia giunti a questo punto? Qual è il pericolo, se ce ne fosse uno, nel credere che gli psichedelici spengano il DMN e dissolvano l’ego che si dice vi risieda?

La dissoluzione dell'ego e gli psichedelici

Tramandata dalla tradizione musulmana sufi e quella buddhista, la morte dell’ego fu adottata da Timothy Leary negli anni ’60 per descrivere il primo stadio, o “bardo” (nella tradizione tibetana, lo stato intermedio o transizionale tra la morte e la rinascita) degli stati alterati di coscienza indotti dalle droghe descritti nel suo libro L’esperienza psichedelica: “completa trascendenza – oltre le parole, oltre lo spazio-tempo, oltre il sé.”Leary descrive gli stadi successivi come “periodi di allucinazioni” ed infine “una rinascita nella realtà quotidiana.”5 Nello stesso periodo, sebbene in modo solo indirettamente collegato agli psichedelici, fu introdotto il concetto di ‘morte psichica’ da Carl Jung6 e il mitologo Joseph Campbell descrisse il ‘viaggio dell’eroe’ come un processo per spogliarsi del proprio sé e tornare trasformati alla routine della realtà.7 Negli anni ’70, lo psicologo transpersonale Stanislav Grof ha proposto la morte dell’ego come obiettivo primario della terapia prsichedelica.8 Durante il calo di interesse per la ricerca psichedelica, l’autore spirituale e oratore Eckhart Tolle ha continuato a rendere popolare la morte dell’ego, considerandola libertà dalla sofferenza.

Sessant’anni dopo la sua introduzione in Occidente, la morte dell’ego è diventata qualcosa di simile agli sport competitivi in alcuni circoli, con forum online sugli psichedelici completamente dedicati a confrontare i diversi livelli di questa esperienza.2 Come fenomeno aneddotico, sia negli stati psichedelici che non psichedelici, la morte dell’ego è ben documentata, ma l’attuale ricerca neuroscientifica rispecchia la nostra interpretazione di questo fenomeno come ‘perdita del sé’? Ed è veramente localizzato in un network cerebrale?

La dissoluzione dell'ego e il Default Mode Network

L’articolo del 2014 del Prof. Dr. Robin Carhart-Harris su Entropic Brain (qui un post del nostro blog a riguardo) è stato il primo ad affermare che l’esperienza degli stati psichedelici emerge dalla disintegrazione del DMN.9 Inoltre, il gruppo di ricerca di Carhart-Harris all’Imperial College di Londra ha pubblicato il primo importante studio che ha collegato una diminuzione della connettività del DMN alla dissoluzione dell’ego durante l’utilizzo di LSD.10 Da allora, molti altri ricercatori nel campo delle sostanze psichedeliche sono saliti a bordo, investigando questi collegamenti.11, 12

In uno studio del 2020 sulla dissoluzione dell’ego dopo l’utilizzo di psilocibina, Natasha Mason et al. della Maastricht University hanno trovato che concentrazioni di glutammato nella corteccia prefrontale mediale e nell’ippocampo, due regioni che appartengono al DMN, correlavano rispettivamente con esperienze positive e negative di dissoluzione dell’ego.12 Tuttavia, nell’interpretazione di questi risultati, essi affermano che “queste aree sono state scelte sulla base di precedenti evidenze anatomiche, funzionali e comportamentali che le vedevano implicate come potenziali regioni chiave nella modulazione dell’esperienza psichedelica.” In altre parole, le regioni al di fuori del DMN non sono state considerate specificatamente perché la corrente letteratura scientifica non le includeva – un approccio che può favorire la deduzione rispetto alla scoperta.

Il legame tra dissoluzione dell’ego, psichedelici e DMN può veramente essere confermato da questo tipo di studi? Quando li esaminiamo da vicino, sembra che abbiano qualche lacuna che varrebbe la pena colmare.

In primo luogo, nonostante le riduzioni di connettività siano ragionevolmente consistenti nella letteratura scientifica, spesso non sono “selettive” del DMN. Questo significa che si verificano anche in altri network corticali, incluso il Salience Network, il quale gioca un ruolo ben consolidato nella auto-consapevolezza.13 Gli effect size in questi network sono spesso più ampi di quelli trovati per il DMN. In più, dato che misurare l’attività del DMN equivale essenzialmente a misurare il ‘vagare della mente’, spesso i ricercatori si trovano di fronte al problema di avere dati insufficienti per estrarre pattern significativi.

“È un problema relativo alle dimensioni ridotte dei campioni, in cui guardiamo 10-15 soggetti”, afferma il Dr. Manoj Doss, neurofarmacologo al Johns Hopkins Center for Psychedelic and Consciousness Research, facendo riferimento alla portata limitata degli studi sugli psichedelici in generale. “Ciò che è ancora peggio è la cognizione senza restrizioni. Sotto l’effetto di psichedelici, ci sono un po’ di cose che [il mio cervello] potrebbe fare. [Mentre sono all’interno dello scanner di risonanza magnetica (MRI)], potrei essere paranoico, pensare a cosa lo sperimentatore voglia da me, che con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) possono leggermi nella mente o qualcosa del genere. Ci sono anche situazioni in cui potresti godere davvero delle esperienze che stai facendo e prestare attenzione alle immagini che arrivano. O potresti diventare molto empatico pensando a tua madre o a qualsiasi altra cosa. Quindi, se alcuni dei sottocampioni di soggetti faranno più probabilmente una di queste cose, ciò porterà a risultati enormemente diversi. Quindi anche semplicemente ottenere un risultato di base su ‘Cosa fanno gli psichedelici in uno stato di riposo [nella fMRI]?’ è un po’ un tentativo destinato a fallire.”

Inoltre, i target primari degli psichedelici – i recettori 5-HT2A – sono espressi in tutto il cervello, non solo nelle regioni del DMN. “È plausibile che il DMN contribuisca agli effetti (soggettivi) indotti dalle sostanze psichedeliche”, dice la Dr. Katrin Preller, ricercatrice sulle sostanze psichedeliche all’Università di Zurigo e membro della  MIND Scientific Advisory Board, “ma  più probabilmente solo nell’interazione con altre aree cerebrali e network.”

Con un cervello intero da esplorare e molte regioni che sembrano essere influenzate allo stesso modo, sembrerebbe rischioso perseguire una narrativa costruita su fondamenta instabili, anche solo per il fatto che incoraggia un focus miope sul DMN e distoglie l’attenzione da altre possibilità. “Sfortunatamente, il libro di Pollan è già uscito”, dice Doss, non per denigrare il lavoro di Pollan, ma per lamentare il fatto che spesso il pubblico si affretta a far propria una narrativa interessante prima che ci siano risultati. Questo è vero sia per la narrativa relativa all’ego che per quella relativa al DMN. “’La dissoluzione dell’ego è un termine veramente ampio che comprende alcune esperienze legate allo stato psichedelico: dai cambiamenti più focalizzati sulla percezione del corpo alla sensazione di completa unità o perdita del sé”, afferma Peller. “Affinché possa essere utile nell’ambito della ricerca e/o in ambito clinico, abbiamo bisogno di una definizione migliore, più precisa, di ciò che intendiamo esattamente quando parliamo di dissoluzione dell’ego.”

Per approfondire questo argomento, va considerato che alcune sostanze che diminuiscono la connettività del DMN in realtà aumentano l’egoismo, che è in opposizione diretta con l’aumento di empatia riportato sotto l’effetto degli psichedelici: “L’anfetamina può rendere le persone più egoiste, eppure diminuisce la connettività del DMN”, dice Doss. “L’alcool diminuisce la connettività DMN e può fare la stessa cosa. L’idea che il DMN sia strettamente legato al sé e che una riduzione dell’attività del DMN sia coinvolta nella dissoluzione dell’ego… non so se sia utile.”

Le storie che raccontiamo a noi stessi

Se non sei uno scienziato, ad ogni modo, qual è il pericolo nel credere che il tuo ego sieda sul trono del DMN, presiedendo alla tua esistenza finché non venga usurpato del ruolo dagli psichedelici? Se un’esperienza percepita di perdita del sé si trasforma in un risultato benefico, perché è così importante mettere in dubbio questa narrativa? Perché questa storia ci porta a due false credenze: che il sé sia una entità singola nel cervello, e che il DMN abbia un’unica funzione. Entrambe le affermazioni non potrebbero essere più lontane dalla verità.

“Un importante aspetto di noi stessi è che noi veniamo da qui [indica il suo corpo], non dall’angolo della stanza” dice Doss. “Un altro aspetto di chi siamo è ciò che facciamo. E questo coinvolge maggiormente network motori ed i network del controllo esecutivo. Dunque, ridurre il sé al DMN… non so se sia utile. E questo è il motivo per cui molti di noi nelle neuroscienze cognitive tentano di ridurre questi network e regioni cerebrali a funzioni legate alla performance in determinati task. Ciò pone dei limiti alle deduzioni che puoi fare riguardo quali aspetti specifici del sé coinvolgono il DMN, piuttosto che sul sé in senso più ampio.”

Forse ancor più importante, il DMN viene ormai ampiamente considerato coinvolto nella direzione del pensiero sociale almeno quanto, se non più, del pensiero autoreferenziale.13 Kevin Tan, dottorando presso il Social Cognitive Neuroscience Lab dell’UCLA, ha mostrato in una prestampa inviata a Nature, che pensare al sé e pensare agli altri coinvolge un circuito neurocognitivo comune che comprende il DMN.14 “Penso che tutti i principali network cerebrali siano coinvolti nella cognizione sociale, ma il DMN gioca il ruolo più cruciale,” dice Tan. “Il DMN supporta i calcoli che sono alla base della cognizione sociale astratta, piuttosto che fornire solo dei precursori di essa.”

E se ignoriamo questa relazione, ignoriamo alcune importanti evidenze del fatto che la percezione di sé e la percezione sociale sono interrelate, un risultato che potrebbe cambiare il modo in cui ci approcciamo alla salute mentale al di là degli psichedelici. Ciò che ci perdiamo nel classificare i network cerebrali, per tentare di capire le sue meccaniche, non è solo il funzionamento elegante del cervello e le sue sfumature, ma anche l’importanza filosofica, comportamentale e clinica dello scoprire quali processi cognitivi si sovrappongono l’uno con l’altro.

“Sappiamo che è peccato a questo punto chiamare l’amigdala ‘il centro delle emozioni’”, aggiunge Doss. “Eppure, ci riferiamo ancora a questi network nel modo in cui sono stati descritti in prima battuta, in un modo semplice da comprendere per noi tutti. Anche agli scienziati piacciono le storie”.

Spegnere o connettere?

Solo perché una teoria diventa un paradigma non significa che la teoria sia rappresentata accuratamente. Quando lo esaminiamo da vicino, il lavoro di Carhart-Harris non identifica in modo conclusivo il DMN come protagonista principale della storia. Per esempio, nel 2016, in un articolo sulla dissoluzione dell’ego e l’LSD, lui e i suoi colleghi hanno proposto che potrebbe essere l’aumento della connettività tra network, piuttosto che l’aumento o la riduzione dell’attività di un network particolare, a portare ad esperienze di dissoluzione dell’ego.

“L’LSD ha aumentato l’integrazione globale incrementando il livello di comunicazione tra network cerebrali normalmente distinti. L’aumento della connettività globale osservata sotto LSD correlava con i report soggettivi di ‘dissoluzione dell’ego’. Questi risultati forniscono la prima evidenza che l’LSD espande selettivamente la connettività globale nel cervello, compromettendo l’organizzazione modulare e ‘rich-club’ del cervello e, simultaneamente, i confini percettivi del sé e dell’ambiente circostante.”15

È importante notare che le esperienze di dissoluzione dell’ego spesso vanno mano per mano con sensazioni di connessione e fusione, forse rispecchiando ciò che succede nel cervello. Ciò nonostante, alcuni potrebbero sostenere che un ego distinto è necessario per sperimentare una perdita dell’ego. Queste sono domande fondamentali relative alla coscienza che non possono essere racchiuse in una singola narrativa. Molti libri come quello di Pollan andranno e verranno man mano che le scienze psichedeliche avanzano, ma per rimanere con i piedi per terra in questo ambito scientifico, è importante non scrivere l’intera storia.

Dichiarazione di non responsabilità: questo post sul blog è stato tradotto e modificato da volontari. I contributori non rappresentano la MIND Foundation. Se noti errori o ambiguità nella traduzione, faccelo sapere – siamo grati per qualsiasi miglioramento. Se vuoi sostenere il nostro progetto sul multilinguismo, contattaci per entrare a far parte del MIND Blog Translation Group!

Bibliografia:

  1. Pollan, Michael. How to Change Your Mind: the New Science of Psychedelics. Page 305. Penguin Books, 2019.

  2. https://www.vice.com/en/article/j5zqwp/competitive-psychedelic-users-are-chasing-ego-death-and-losing-their-sense-of-self

  3. https://www.synthesisretreat.com/psilocybin-and-the-default-mode-network

  4. https://scottbarrykaufman.com/podcast/the-science-of-self-transcendent-experiences-with-david-yaden/

  5. Lattin, Don. 2019. Timothy Leary’s legacy and the rebirth of psychedelic research. Harvard Library Bulletin 28 (1), Spring 2017:65-74.

  6. Stanislav Grof,History of LSD Therapy,Hunter House, 1994).

  7. Yates, J. Jung on Death and Immortality. Princeton University Press, 2000.

  8. Campbell, Joseph. The Hero’s Journey. Harper Collins, 1990.

  9. Carhart-Harris, et al (2014). The entropic brain: a theory of conscious states informed by neuroimaging research with psychedelic drugs. Frontiers in Human Neuroscience. Volume 8, page 20.https://doi.org/10.3389/fnhum.2014.00020

  10. Carhart-Harris, RL, et al (2016). Neural correlates of the LSD experience revealed by multimodal neuroimaging. Proceedings of the National Academy of Sciences Apr 2016, 113 (17) 4853-4858; DOI: 10.1073/pnas.1518377113 

  11. Lebedev, A. V., Lövdén, M., Rosenthal, G., Feilding, A., Nutt, D. J., & Carhart-Harris, R. L. (2015). Finding the self by losing the self: Neural correlates of ego-dissolution under psilocybin.Human brain mapping,36(8), 3137–3153.https://doi.org/10.1002/hbm.22833

  12. Mason, N.L., Kuypers, K.P.C., Müller, F.et al.Me, myself, bye: regional alterations in glutamate and the experience of ego dissolution with psilocybin. 45,2003–2011 (2020).https://doi.org/10.1038/s41386-020-0718-8

  13. Amft M, Bzdok D, Laird AR, Fox PT, Schilbach L, Eickhoff SB. Definition and characterization of an extended social-affective default network. Brain Struct Funct. 2015 Mar; 220(2):1031-49.  https://dx.doi.org/10.1007/s00429-013-0698-0 

  14. Tan, et al. Human electrocorticography reveals a common neurocognitive pathway for mentalizing about the self and others (2021). Nature Portfolio: In Reivew. doi:21203/rs.3.rs-257986/v1

  15. Tagliazucchi, et al. Increased Global Functional Connectivity Correlates with LSD-Induced Ego Dissolution (2016). Current BiologyVolume 26, ISSUE 8, P1043-1050.  https://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2016.02.010 


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