Perspective
Consciousness Research Philosophy & Consciousness


Neuroni Su Acido

Come Gli Psichedelici Possono Alterare La Struttura Neuronale Per Ripristinare Le Sinapsi Perse.

Tradotto da Veronica Migliozzi, recensito da Miriam Acquafredda.

Una nuova classe di farmaci, gli psicoplastogeni, puo annunciare una nuova era nel trattamento della depressione.

Con circa 350 milioni di persone in tutto il mondo che soffrono per questa malattia, la depressione è un punto fermo dei tempi moderni. Essa è la condizione di salute mentale più comune, che comporta diversi sintomi, tra cui tristezza prolungata, apatia e anedonia, e sensi di colpa o bassa autostima. La depressione grave può anche portare al suicidio, e aumenta il rischio di morire anche per altre cause. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione sarà al secondo posto nel carico globale delle malattie nel 2020.1 Nel combattere gli alti costi sociali associati ad essa, la ricerca medica sulla depressione sta attualmente affrontando due problemi principali: non siamo ancora completamente a conoscenza dei meccanismi neurobiologici alla base della depressione, e molti dei trattamenti disponibili sono inefficaci o parzialmente efficaci.2

Gli inibitori selettivi per il reuptake della serotonina (SSRIs) sono la classe più prescritta di antidepressivi. Tuttavia, solo il 56% al 60% dei pazienti risponde a questo tipo di terapia.3 Inoltre, iniziano a funzionare solo dopo circa due o quattro settimane, e diversi pazienti riportano effetti collaterali come secchezza delle fauci, aumento di peso, mal di testa e perdita del desiderio sessuale.4 La mancanza di terapie efficaci per la depressione è anche data dal fatto che anche dopo decenni di ricerca, ancora non c’è un consenso su cosa la causa e quali sono i meccanismi neurobiologici coinvolti.

Tuttavia, un’importante intuizione della ricerca di base è stata che l’esposizione allo stress cronico è associata con lo sviluppo della depressione. Questo ha spinto più ricerca per terapie efficaci.5,6 Pur riconoscendo le difficoltà nel generalizzare i risultati preclinici agli esseri umani, gli esperimenti in laboratorio e sugli animali possono chiarire come lo stress influenzi il cervello e i singoli neuroni. Queste ricerche hanno dimostrato che l’esposizione allo stress può influenzare profondamente la plasticità strutturale, che è la capacità dei neuroni di alterare la loro forma quando sono stimolati. Nella maggior parte dei neuroni, l’esposizione allo stress riduce il numero delle spine dendritiche, i posti principali dove i neuroni si collegano e comunicano. (vedi Figura 1).

Il problema diventa più complesso se si considera che lo stress influisce sul cervello in modo specifico per ogni regione.7,8 Nell’amigdala, un importante centro per l’elaborazione delle emozioni, lo stress comporta una maggiore complessità della morfologia neuronale, dovuta ad un aumento nel numero di sinapsi.9 Ma in altre regioni cerebrali come l’ippocampo e la corteccia prefrontale – importanti centri per il processo decisionale e per l’elaborazione delle memorie dichiarative – , lo stress ne riduce la complessità. I contatti sinaptici diminuiscono, un fenomeno conosciuto come ‘’stripping sinaptico’’.6

Messi all’angolo dal limitato successo dei correnti trattamenti disponibili per la depressione, le comunità mediche e scientifiche stanno ora protendendo verso i composti psichedelici, con la speranza che annuncino una nuova era per il trattamento delle malattie psichiatriche. In uno studio clinico innovativo, la psilocibina ha dimostrato alleviare i sintomi della depressione per un minimo di due mesi.11 In particolare, questi studi hanno coinvolto pazienti con depressione resistente ai trattamenti. Inoltre, la chetamina, migliora i sintomi quasi immediatamente e nel 2018 ha ricevuto l’approvazione dalla US Food and Drug Administration, designandola come ‘’breakthrough therapy’’ per la depressione.

Ricordiamo che lo stress comporta cambiamenti nella morfologia neuronale. I composti psichedelici potrebbero avere la capacità di invertire questi cambiamenti? E questo potrebbe essere legato ai loro effetti terapeutici? Di recente, uno studio dal laboratorio di David Olson della Università della California, Davis, ha affrontato la questione investigando l’effetto dei composti psichedelici sulla morfologia neuronale. Hanno studiato i cambiamenti nella lunghezza e nelle ramificazioni dendritiche, e il numero e la morfologia delle spine. Come i rami di un albero, i dendriti sono ‘’ramificazioni’’ cellulari che aumentano per raggiungere un certo neurone e, quindi, la loro connettività (vedi Figura 1). Secondo la ricerca di Olson, i composti psichedelici di classi distinte hanno la proprietà di aumentare il numero di contatti sinaptici, inaugurando così una nuova classificazione di sostanze: gli psicoplastogeni.12

Psicoplastogeni

Il termine ‘’psicoplastogeni’’ si riferisce a quei composti che hanno la capacità di alterare la morfologia neuronale, indicato anche come miglioramento della plasticità neuronale. Nello studio dal laboratorio di David Olson12, gli autori si chiedono se i composti psichedelici di diverse classi (e quindi anche con targets farmacologici diversi) possano alterare la morfologia dei neuroni alterando quindi la probabilità di contatto tra neuroni. Il gruppo ha usato metodi in-vitro, ovvero hanno preso culture di cellule neuronali vive da cervelli di ratto e le hanno incubate con diverse concentrazioni di composti psichedelici. Queste hanno mostrato come LSD-25, MDMA, DMT, chetamina, psilocina (la forma attiva della psilocibina), e altri composti psichedelici potrebbero indurre dei cambiamenti nel numero di contatti sinaptici, e nella struttura dei neuroni, aumentando il numero e la lunghezza delle ramificazioni dendritiche. Inoltre, sulla base dei risultati ottenuti da esperimenti in-vitro, gli autori hanno sperimentato se la DMT potesse anche indurre alterazioni della morfologia neuronale quando iniettata in un animale vivo. Simile ai dati in-vitro, hanno scoperto che la DMT iniettata può anche promuovere un aumento nel numero di spine nella corteccia prefrontale dei ratti. Questo effetto è stato accompagnato da cambiamenti dell’attività neuronale, dimostrata da registrazioni elettrofisiologiche di fette di cervello da ratti che hanno ricevuto DMT.

Ciò che è così sorprendente in questo studio è che tutti i composti psichedelici testati hanno mostrato effetti psicoplastogenici simili, pur bersagliando diverse classi recettoriali. Naturalmente, il gruppo di ricerca ha continuato ad indagare i meccanismi sottostanti che promuovono questi effetti psicoplastogenici. È noto che certi messaggeri, I cosiddetti ‘’fattori-cerebrali’’, possono indurre cambiamenti nella morfologia neuronale. Di questi, il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF) è uno dei più studiati. Il BDNF appartiene alla famiglia delle neurotrofine dei fattori di crescita, che gioca un ruolo chiave nella sopravvivenza neuronale, nella crescita, e nel differenziamento di nuovi neuroni e sinapsi. È abbondante nelle regioni cerebrali che sono coinvolte nell’apprendimento e nella cognizione superiore, come l’ippocampo e diverse aree corticali.13

È interessante notare che l’esercizio può indurre la produzione di BDNF e, al contrario, lo stress può interromperla.14,15 Nel presente studio, gli autori hanno scoperto che l’inibizione della funzione di BDNF attraverso il blocco dei recettori TrkB a cui si lega, ha abolito completamente gli effetti psicoplastogenici dei composti come LSD, DMT, ed MDMA. Questo suggerisce che il segnale del BDNF potrebbe essere un meccanismo comune alla base degli effetti di diverse sostanze psichedeliche sulla plasticità strutturale.

Questi risultati sono convincenti, ma restava ancora una domanda: lo stesso effetto psicoplastogeno si verificherebbe quando i composti psichedelici vengono somministrati ad animali sottoposti a stress? Di recente, un ulteriore ricerca ha fatto luce su questa questione.16 Gli autori hanno usato un protocollo di esposizione a stress cronico, che è noto per indurre un comportamento di tipo depressivo accompagnato alla riduzione di spine dendritiche nei neuroni della corteccia prefrontale. Utilizzando l’imaging di due fotoni, hanno tracciato il destino di un sottoinsieme di spine dendritiche nella corteccia prefrontale e hanno dimostrato che alcune di esse scomparivano dopo lo stress cronico. È interessante notare che una singola dose antidepressiva di chetamina è stata capace di salvare le spine perdute durante lo stress cronico. Inoltre, gli autori hanno continuato a dimostrare che il ripristino indotto dalla chetamina delle spine perse è, infatti, cruciale per gli effetti comportamentali del farmaco. Nel complesso, il trattamento con chetamina ripristina le spine perse e normalizza l’attività del microcircuito nella corteccia prefrontale, portando alla remissione del comportamento simile alla depressione nei topi. La figura 1 fornisce una rappresentazione grafica delle principali scoperte di entrambi gli studi.12,16

I risultati discussi sopra giustificano altre domande: l’effetto della chetamina è regione-specifico? Se sì, la chetamina aumenta anche la plasticità strutturale nelle regioni cerebrali come ippocampo e amigdala? E dato che anche gli altri composti psichedelici, come la psilocibina e l’MDMA, migliorano velocemente la depressione, possono anche ripristinare le spine dendritiche andate perse durante lo stress cronico?

Figura 1: una breve spiegazione delle strutture neuroanatomiche cellulari rilevanti. Rappresentazione grafica dei principali risultati A) Ly e collaboratori12 B) Moda-Sava e collaboratori16 – adattato da Beyeler.17

La plasticità strutturale potrebbe accompagnare l’esperienza psichedelica?

Gli studi discussi sopra fanno sorgere un altro dubbio: la plasticità sinaptica potrebbe accompagnare l’esperienza psichedelica? Ad oggi, i metodi di neuroimaging impiegati nella ricerca sul cervello umano non conferiscono una risoluzione per visualizzare le spine dendritiche. Tuttavia, diversi studi hanno esaminato l’effetto delle sostanze psichedeliche sul cervello usando una varietà di metodi di neuroimaging. Dal lavoro seminale di Carhart-Harris e collaboratori nel 201618, abbiamo imparato che l’LSD altera il flusso sanguigno cerebrale, l’attività elettrica, e la comunicazione fra networks e che questo è correlato con i suoi effetti soggettivi.

Questo solleva la questione se la plasticità strutturale potrebbe verificarsi in un lasso di tempo che si correla con l’esperienza psichedelica. Una domanda correlata è se sia responsabile degli effetti a lungo termine di tale esperienza, a volte chiamato ‘’effetto afterglow’’.

La ricerca di base sugli effetti psicoplastogenici delle droghe psichedeliche contribuisce notevolmente alla nostra comprensione dei loro effetti sul cervello. Ly et al.12 hanno pubblicato il primo studio per dimostrare sistematicamente gli effetti di diverse classi chimiche di psichedelici sulla crescita sia di dendriti che di spine dendritiche, e Moda-Sava et al.16 sono riusciti a dimostrare che il ripristino indotto da chetamina delle spine dendritiche nei neuroni della corteccia prefrontale è essenziale per i suoi effetti a lungo termine nei topi. A mano a mano che il rinascimento psichedelico avanza e l’interesse e i finanziamenti aumentano,19 si spera che alcune delle domande chiave sottolineate sopra verranno affrontate utilizzando tecniche di neuroimaging e algoritmi più potenti. La comunità di ricerca sarà anche in grado di produrre importanti intuizioni sui meccanismi molecolari degli psichedelici utilizzando una vasta gamma di nuove tecnologie. Combinando l’ingegneria genetica alle neuroscienze, saranno in grado di capire meglio come gli psichedelici hanno un impatto sulla morfologia neuronale e sulla connettività sinaptica, e quindi sull’attività cerebrale complessiva. Questa ricerca porterà sicuramente ad intuizioni su come queste sostanze producono i loro effetti terapeutici. Questo gioverà non solo alla ricerca di novi trattamenti per i disturbi psichiatrici, ma anche alla comprensione delle basi neurobiologiche della coscienza e di sé.

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