Essay
Arts & Social Implementation & Society


Sei un esperto?

L’apparizione, la scomparsa e la ricomparsa dell’ “arte psichedelica”

Tradotto da Matteo Gori, modificato da Veronica Migliozzi

“PIÙ DI QUALSIASI MOVIMENTO ARTISTICO DEL NOSTRO TEMPO, L’ARTE PSICHEDELICA HA UN FUTURO E POTENZIALITÀ CHE VANNO OLTRE IL POTERE DI IMMAGINAZIONE DI CHIUNQUE. SIAMO SOLO AGLI ARBORIAI PRIMI INIZI, MA LA PROSPETTIVA È GIÀ IMPRESSIONANTE”.L’UNICO OSTACOLO SEMBRAVA ESSERE LA LEGGE.

Perché non si sente quasi mai parlare dell’arte psichedelica dalla storia dell’arte ufficiale? Nel 2005, il direttore del Tate Liverpool Cristoph Grunenberg ha supposto che l’arte psichedelica sia stata “epurata” dalla storia dell’arte, come se non rientrasse con la linea altamente modernista dello sviluppo che conduce dal Pop al Minimale e al Concettuale. Perciò, questa altra estetica esuberante, popolare, ma meno pura, è stata relegata ai regni dell’arte applicata, del cattivo gusto, e dell’aberrazione stilistica.1Anche se la trascuratezza in quanto tale, di certo, non dimostra l’importanza del soggetto, un breve sguardo alla storia “ufficiale” dell’arte psichedelica mostra alcune curiose stranezze che possono aiutare a spiegare la sua relativa invisibilità. Per prima cosa, ci sono i le sostanze. L’ingrediente un tempo determinante dell’uso di droghe psichedeliche sembra essere stato eliminato dalla vista in modo da evitare controversie e sostituire la ribellione controculturale con innocua nostalgia e design storico.

Cos’è successo?

L’arte psichedelica ha certamente radici più antiche, ma quando LIFE Magazine nel Settembre 1966 dedicò un articolo principale alla “LSD ART”, è improvvisamente emersanell’ambiente mainstream (fig. 1). L’articolo riguardava una mostra di un collettivo di artisti che cercava di “far saltare la mente bombardando i sensi”, che LIFE, in qualche sorprendentemente modo, ha ritenuto essere un nuovo, serio sviluppo nell’arte.Anche altri media hanno iniziato a segnalare feste multimediali di moda in Boemia.
All’inizio del 1967, diverse rispettabili gallerie d’arte saltarono sul carro presentando disegni e dipinti psichedelici, anche se li definivano “visionari” per evitare un legame troppo palese con le droghe che erano ormai diventate socialmente indesiderabili e persino illegali in alcune parti degli Stati Uniti.

Fig.1 Copertina del Magazine LIFE, 9 Settembre 1966, con una foto dell’artista Richard Aldcroft della compagnia degli Stati Uniti (USCo) durante un trip senza droghe (foto di Yale Joel).

La proibizione ha anche colpito seri ricercatori dell’LSD. Comprensibilmente frustrati, due di loro, Robert Masters e Jean Houston, hanno reindirizzato la loro attenzione all’arte , probabilmente anche nel tentativo di riabilitare le sostanze in cui credevano, fornendo loro un’aura di rispettabilità culturale. Il loro collega Stanley Krippner ha introdotto la maggior parte degli artisti che, nel corso del 1967, hanno tutti accettato di essere artisti “i cui dipinti o altre forme di espressione artistica mostrano gli effetti dell’esperienza psichedelica, di solito indotta chimicamente” e il cui lavoro potrebbe essere stato prodotto “come risultato di un’esperienza psichedelica, durante un’esperienza psichedelica, o nel tentativo di indurre un’esperienza psichedelica”.3

All’inizio del 1968, Masters e Houston hanno pubblicato “Psychedelic Art” (fig. 2).
Si tratta della primissima monografia a definire veramente l’argomento, anche se in seguito è stata comunque largamente ignorata.
Si compone del lavoro di circa 35 artisti contemporanei, integrato da arte più antica in cui gli autori hanno riconosciuto una “sensibilità psichedelica” risalendo fino a Hieronymus Bosch del tardo medioevo ed oltre, fornendo così al nuovo arrivato una sorta di pedigree rispettabile e parzialmente/in parte “drug-free”, senza droga. (4)Il libro trasuda ancora il leggendario ottimismo degli anni’60. Masters e Houston iniziano sulla difensiva affermando che l’uso di droghe appartiene a tutte le epoche e che nessuno degli artisti credeva che le droghe conferissero la capacità di creare arte: “L’esperienza psichedelica è esperienza, non talento iniettato o ispirazione ingerita, sebbene l’artista possa trarre ispirazione da qualsiasi pensiero o percezione, qualunque sia la situazione del suo verificarsi.4

Fig. 2 Copertina di Robert E.L. Masters e Jean Houston, “Psychedelic Art”, New York/Londra 1968.

Presto il tono diventa euforico: “Più di qualsiasi movimento artistico del nostro tempo, l’arte psichedelica ha un futuro e una potenzialità che vanno oltre il potere di immaginazione di chiunque. Stiamo assistendo solo agli arbori , ma la prospettiva è già impressionante”.4 L’unico ostacolo sembrava essere la legge. Senza un cambiamento, pensavano Masters e Houston, “l’arte psichedelica o perirà o, più probabilmente,  diventerà completamente underground”. Un destino, pensavano, del tutto immeritato per “un’arte quasi totalmente libera dalla preoccupazione per la nevrosi, il brutto e il sordido – senza, cioè, la parte più malata dell’uomo – che satura così tanto dell’espressione artistica del nostro tempo”.4

L’arte psichedelica è anche notevole, almeno tra gli amanti dell’arte, per gli standard di qualità piuttosto insoliti applicati dai suoi autori. Apparentemente, ciò che contava di più per loro era se si potesse dire che un’opera dimostrasse che l’artista avesse ottenuto qualche beneficio terapeutico o intuizione mistica dall’esperienza psichedelica. Trattandosi di un “viaggio nella propria psiche”, questa esperienza inizia con un circo sensoriale, seguito idealmente da una discesa a livelli che corrispondono grosso modo all’inconscio personale di Freud e a quello collettivo di Jung, prima di raggiungere la fase integrale ultima descritta dai mistici da tempi immemori.4

Di conseguenza, la migliore arte psichedelica esprimerebbe l’idea che l’universo è fondamentalmente giusto e armonioso, e se così non è – o almeno così era implicito – l’artista a quanto pare non si è immerso abbastanza in profondità o è rimasto bloccato da qualche parte. Così, anche inquadrando l’arte psichedelica come il successore naturale e più maturo del surrealismo e dell’espressionismo astratto, Masters e Houston proclamarono quest’arte come “dionisiaca, estatica, energica”, “religiosa, mistica: religione panteistica, Dio manifesto in Tutto, ma soprattutto nell’energia primordiale che muove i mondi, alimenta il flusso esistenziale, (…) cercando di prevalere per puro slancio gioioso. Nascita e rinascita, crescita e rinnovamento. Essere fremente in estatica unità con se stesso”.4 Uno degli artisti che avevano in mente qui era Isaac Abrams, chiaramente uno dei loro preferiti, e l’unico nome che ancora compare costantemente in questo contesto (fig.3).

Fig. 3 Isaac Abrams, Orchidea cosmica, 1967, olio su tela, 188 x 153 cm, collezione privata, come riprodotta in “Psychedelic Art di Masters e Houston, 1968.

“Psychedelic Art” è stata accolta abbastanza bene al momento della pubblicazione. I critici sono stati generalmente soddisfatti di questa prima indagine su una nuova forma d’arte, ma hanno anche pensato che fosse troppo presto per giudicarne i meriti. Nessuno si è lamentato dei riferimenti apologetici alle droghe illegali o alla pubblicità che ne veniva fatta.5 Tuttavia, l’interesse è svanito così rapidamente che un’arte emersa nel 1966 e onorata con una monografia nel 1968 sembrava essere passata, se non proprio tabù, già nel 1970. Qualunque sia la causa della fine dell’ottimismo psichedelico, sembra che durante e dopo il 1968 sia artisti che critici d’arte, galleristi, curatori e simili, si siano resi conto che l’etichetta “psichedelica” ora comprometteva piuttosto che favorire la propria reputazione e carriera.6

Le pressioni legali e sociali hanno dato origine all’autocensura, ma dovrebbero essere menzionate anche altre possibili cause. Per dirne una, l’arte psichedelica non ha mai prodotto un vero maestro che attirasse un’attenzione seria o trascinasse gli altri verso un -ismo. Per dirne un’altra, tendeva a favorire la sensualità a scapito del contenuto, della profondità del sentimento e dell’intelligibilità. La sua esuberanza decorativa si è rivelata presto monotona; il suo esotismo noioso come le foto delle vacanze dei vicini. Nel suo contributo a “Psychedelic Art”, il critico d’arte Barry Schwartz si lamentava del fatto che la maggior parte degli artisti psichedelici sembrava tornare indietro di corsa dalla loro esperienza solo per dire: “Guarda, guarda cosa ho visto”.12 Il risultato netto di questo atteggiamento, ha deriso, è stato che l’arte psichedelica tendeva alla dottrina visiva, analoga al “realismo sociale che tenta di rappresentare artisticamente la lotta di classe”.7 “Il mezzo era la maggior parte del messaggio”, ha concluso nel 1985 un altro critico, Thomas Albright.8

In effetti, non si può dire che i famosi manifesti dei concerti prodotti a San Francisco e altrove costituiscano arte psichedelica, almeno non secondo i criteri di “Psychedelic Art”. Schwartz ha parlato sprezzantemente di “solo la moda di dipingere oggetti nel mondo in uno stile che è associato all’esperienza psichedelica”. Si tratta di poster art nel vero senso della parola: “guardateci, siamo gli psichedelici”.7 Poiché lo scopo principale dei manifesti era di pubblicizzare gli eventi programmati di interesse per la comunità psichedelica, e lo faceva volutamente in un linguaggio visivo che segnalasse “differenza” sia per gli addetti ai lavori che per gli estranei, sembra infatti ragionevole non parlare di arte psichedelica per sé, ma di arte della comunità psichedelica.

Ma addirittura: lo stile del poster è stato rapidamente appropriato (o “cooptato”, come si diceva allora) da altri partiti. “Chiamalo ‘psichedelico’ e venderà velocemente, dicono alcuni commercianti”, Masters e Houston citarono un titolo in prima pagina del “Wall Street Journal” del 1967.4 Per un periodo di tempo, sembrava che qualsiasi cosa potesse essere venduta chiamandola “psichedelica” o “mind-blowing, cioè strabiliante”, e ricoprendola di motivi ondulati colorati – perfino i Repubblicani (fig. 4).9 “La vera rivoluzione degli anni ’60” ha concluso Albright, “è stata la trasformazione di praticamente tutto – compresa la nozione stessa di ‘rivoluzione’ – in un prodotto in vendita”.8 Motivo sufficiente per gli artisti per abbandonare uno stile che faceva sembrare la psichedelia una moda neo-Art Nouveau banale e commercialmente corrotta, condita con colori saturati ed effetti Op Art.

Fig. 4 Jim Trelease, Rocky is My Man nel ‘68, disegnato per un poster pubblicitario dalla campagna presidenziale del 1968, 1968, 60 x 89 cm, collezione privata.

E così l’arte psichedelica è rapidamente di scena. Spinto da “Psychedelic Art”, Harvard Arnason ha dedicato alcuni paragrafi all’argomento nell’ultima pagina della sua “Storia dell’arte moderna” del 1969, ma li ha poi cancellati dalle successive revisioni.10 Inoltre, il libro di Masters e Houston sembra essere diventato invisibile. Anche l’enorme “Dizionario dell’arte” del 1996 in 34 volumi ha trascurato l’unico libro sull’argomento con una voce piuttosto sbrigativa.11 E nel 2005, quando Grunenberg ha cercato di dare a questa “Arte senza storia”, come la chiamava, un ritorno trionfanle con la sua mostra “Summer of Love: Arte dell’era psichedelica”, questa qualifica gli ha permesso di includere poster e design e di lasciare da parte l’attenzione sulle droghe. In effetti, il libro di Masters e Houston è stato opportunamente ignorato, relegato in una nota a piè di pagina come fonte di informazioni su Abrams.1

Merito di Grunenberg è stato di rompere decenni di silenzio assordante. Ma parlando di “arte dell’era psichedelica”, ha accantonato con fin troppa facilità gran parte dello scontro tra cultura controcorrente e cultura tradizionale, tra l’arte psichedelica e la sua progenie popolare. Inoltre, a parte l’obbligatorio spettacolo di luci (meno l’assordante musica rock e il pubblico impazzito), mostre come quella di Grunenberg si sono concentrate quasi per necessità su avanzi di materiale, accessori, memorabilia e materiale di marketing più che su bombardamenti sensoriali, tentativi di “sbalordire la mente” e molti altri eventi effimeri che fondono insieme l’alto e il basso, la vita e l’arte, che sono stati anche proposti come il risultato più importante della psichedelia.8 Come evitare la sensazione di camminare in un gabinetto di curiosità che commemora una tendenza superficiale nel “lise-style” e design bizzarro? Questa qui potrebbe essere la domanda.

La mancanza di definizione ha turbato anche altre iniziative. Nel 2010, ad esempio, David Rubin ha organizzato una mostra intitolata “Psychedelic: Optical and Visionary Art since the 1960s”. Si è concentrata su tutti i tipi di arti che incitano a “una consapevolezza ampliata del mondo interiore della percezione” utilizzando effetti ottici e il “vocabolario estetico psichedelico” come un “vernacolo multiuso”.12 Dei 74 artisti nel libro, tuttavia, forse solo 6 (incluso Abrams) si qualificherebbero come artisti psichedelici secondo i criteri di Masters e Houston, il cui libro non è stato nemmeno menzionato in una nota.

Né è stato menzionato da Ken Johnson nel suo “Are You Experienced? How Psychedelic Consciousness Transformed Modern Art” del 2011, nonostante quasi citasse Masters e Houston parlando di un’arte che “cerca di rappresentare, esprimere o indurre” l’esperienza psichedelica.13 Johnson ha posto molte domande interessanti, ma poiché non mirava a un compendio di “arte psichedelica” ma a un modo nuovo e “psichedelico di vedere l’arte”, ha gonfiato il termine a tal punto da ricoprire quasi tutta l’arte che critica, dubita, riflette, o scherza su qualcosa, o semplicemente sembra strana o “trippy”, , quando si è fatti. Infatti, per Johnson, “psichedelico” divenne più o meno sinonimo di “postmoderno”, quel cambiamento epocale di prospettiva che lui attribuiva esclusivamente al “big bang” della psichedelia.13

Ma Johnson, almeno, non ha ridotto la psichedelia a uno stile, dell’arte o del design. La diversità stilistica ha caratterizzato anche l’arte nel libro di Masters e Houston, e infatti, nella loro definizione, l’arte psichedelica non può essere riconosciuta da caratteristiche esterne comuni. Qualunque cosa si pensi del loro curioso pregiudizio nell’apprezzamento dell’arte, il loro libro ha fornito una definizione dell’arte psichedelica chiara, ben ponderata e utile. “Storicamente, una forma d’arte trae la sua identità dall’opera realizzata, e non dalla biografia dell’artista”, ha spiegato Schwartz, ma in questo caso, “è palesemente impossibile produrre arte psichedelica senza aver avuto un’esperienza della coscienza che è la sua fonte”.7 Senza denotazione, rimane solo un’ampia varietà di connotazioni. Ricordiamo che, in origine, la domanda chiave non era l’aspetto esteriore, ma, appunto: “Sei esperto?”

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Bibliografia

  1. Grunenberg C. The Politics of Ecstasy. In: Summer of Love: Art of the Psychedelic Era. Liverpool (Tate Liverpool)/Frankfurt (Schirn Kunsthalle)/Vienna (Kunsthalle) 2005-2006, p. 13.

  2. Psychedelic Art. Life. 1966 Sep 9;61(11):60–9.

  3. Krippner S. The Psychedelic Artist. In: Psychedelic Art. New York: Grove Press; 1968. p. 164.

  4. Masters REL, Houston J. Psychedelic Art. New York: Grove Press; 1968.

  5. ten Berge JP. Drugs in de kunst: Van opium tot LSD, 1798-1968. 2004.

  6. As it still did in 1967. In fact, at least one of the artists inPsychedelic Artlater confessed that he didn’t qualify, but just grabbed the chance to have his work published (interview with Lex de Bruijn, Amsterdam, 14 June 1995).

  7. Schwartz BN. Context, Value & Direction. In: Psychedelic Art. New York: Grove Press; 1968. p. 153.

  8. Albright T. Art in the San Francisco Bay area, 1945-1980: an illustrated history. Berkeley, Calif: University of California Press; 1985. 349 p.

  9. Yanker G. Prop art: over 1000 contemporary political posters. New York: Darien House; distributed by New York Graphic Society, Greenwich, Conn; 1972. 256 p.

  10. Arnason HH. History of Modern Art New York: Abrams; 1969.

  11. Sokol DM. Psychedelic Art. In: Turner J, editor. The dictionary of art. New York: Grove; 1996. p. 681.

  12. Rubin DS. Stimuli for a New Millenium. In: Psychedelic: optical and visionary art since the 1960s. San Antonio, TX; Cambridge, Mass: San Antonio Museum of Art; In association with the MIT Press; 2010. p. 28.

  13. Johnson K. Are you experienced? how psychedelic consciousness transformed modern art. Munich, New York: Prestel Verlag; Prestel Publishing; 2011. 232 p.


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